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Un film già visto anche in altre regioni, come la Calabria, con un copione che si ripete in maniera preoccupante: inchiesta doverosa, titoli fuorvianti sui giornali, medici sotto accusa e poi lo scandalo che si sgonfia come una bolla di sapone. I sospetti e il clamore scandalistico però rimangono e il rapporto fiduciario medico-cittadino viene fortemente danneggiato. Nella provincia emiliana sono indagati quasi trecento professionisti con l'accusa di continuare ad avere tra i propri assistiti pazienti già deceduti. Questa la dichiarazione di Bruno Agnetti,presidente regionale dello SMI: «Quasi trecento medici indagati, cioè quasi tutti i medici di famiglia della provincia di Parma, per colpa di una disfunzione burocratica e tecnologica. Un’assurdità. Gli accertamenti sono un atto dovuto, probabilmente, ma il rischio è che, montando lo scandalo, si ricorra alle semplificazioni, cioè alla consueta caccia alle streghe contro i camici bianchi e contro il SSN. A danno chiaramente del rapporto fiduciario con i nostri pazienti». «Noi quando un paziente muore - ricorda Bruno Agnetti - lo comunichiamo all'Anagrafe mediante una scheda che inviamo all'Istat. Ma qui salta qualche meccanismo. Da quando tutti hanno iniziato a usare il computer, s'è visto che i dati non coincidevano. Basta un accento, un doppio nome, un errore nel codice fiscale perché ci sia un errore. E noi ci troviamo in mezzo, costretti ad allineamenti che ci costano lacrime e sangue. Le responsabilità sono tutte da accertare, ma al momento si guarda nella direzione sbagliata».
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