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Le professioni sociali: una risorsa strategica per il welfare locale. 14 settembre 2006

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Simone Casadei, ricercatore Isfol, Area politiche sociali e pari opportunità

Le professioni sociali: una risorsa strategica per il  welfare locale.

Egregio Direttore, il panorama del lavoro in ambito sociale appare fortemente contrassegnato da fattori di criticità che interessano, con modalità differenti, i vari livelli delle professioni sociali: quelle di base, intermedie ed apicali.  Per quanto riguarda le professioni di base, se da un lato si registra il consolidamento della figura di operatore socio sanitario  - il cui profilo è stato definito a livello nazionale con l’Accordo in Conferenza Stato-Regioni del 22 febbraio 2001  - dall’altro sembra acquistare rilievo il tema della professionalizzazione e del riconoscimento del lavoro di cura svolto dalle assistenti familiari (alcune stime recenti parlano di 900.000 c.d. “badanti”) attraverso specifici interventi di tipo formativo e sociale (formazione a distanza, accreditamento presso Enti locali, centri di servizio dedicati, misure di conciliazione). Nelle professioni di livello intermedio si registra – in numerosi contesti regionali - una elevata proliferazione di figure professionali formate con percorsi formativi post obbligo o post diploma, spesso cofinanziati dal FSE. L’assenza di standard formativi definiti a livello nazionale e di sistemi interregionali di “equivalenza” dei profili di uscita ha certamente favorito la diffusione di curricola formativi fortemente eterogenei che si riverberano in profili e figure professionali variamente denominate con la conseguente dequalificazione del lavoro sociale e la difficoltà ad assicurare adeguati standard professionali di qualità nei servizi ed interventi sociali territoriali. A livello apicale il panorama delle professioni sociali (assistente sociale, psicologo, sociologo, educatore professionale) mostra delle criticità almeno per quanto attiene alla figura dell’educatore professionale, il cui profilo professionale continua a mostrare una involontaria “doppia identità”, sociale e sanitaria che gli deriva dalla  presenza di due classi di laurea di riferimento: la classe 18 (Facoltà di Scienze della Formazione) ,che abilita al settore sociale, e la classe di laurea 2 (Facoltà di Medicina)  che abilita per il lavoro nel comparto socio-sanitario. Alla luce di quanto esposto, appare indifferibile l’avvio di un processo di confronto finalizzato alla definizione delle professioni sociali di rilievo nazionale - che deve necessariamente coinvolgere in prima istanza i livelli di governo centrale e territoriale ed estendersi alle comunità professionali ed alle parti sociali - sulla base dell’articolazione delle competenze tra Stato e Regioni stabilite dalla riforma del Titolo V della Costituzione ribadite anche da una recente Sentenza della Corte Costituzionale. La regolamentazione delle professioni sociali appare ancora più necessaria alla luce dei mutamenti nei sistemi di welfare locale innescati dall’attuazione nei territori della legge 328/00.  La costruzione di sistemi di welfare locale nei quali le politiche sociali classicamente intese si integrano con le politiche sanitarie, educative e del lavoro, implica infatti un sostanziale mutamento nel sistema di ruoli e forse anche nell’identità di molti operatori del sociale, un allargamento della prospettiva professionale che si traduce in una maggiore onerosità dell’attività svolta cui tuttavia non corrisponde un  adeguato riconoscimento ed una adeguata visibilità sociale.  Valorizzare il lavoro e le professionalità del sociale  diviene quindi una condizione necessaria per consolidare sistemi di welfare locale  maggiormente inclusivi. Alla complessificazione di ruoli e funzioni che gli operatori sociali sono chiamati a sostenere si è spesso risposto, nei territori, con la moltiplicazione di figure professionali deputate allo svolgimento di nuove funzioni (mediazione sociale, scolastico-territoriale, educativo-culturale, al lavoro solo per rimanere nell’ambito della funzione di mediazione così legata alla dimensione dell’accompagnamento). Si è quindi in presenza di una evidente ed endemica sovrapposizione tra funzioni (che caratterizzano il profilo professionale)  e figure professionali che ha interessato principalmente le professioni intermedie e che, da alcuni anni, sta interessando anche il settore dell’alta formazione sociale. Una riflessione sulle  competenze professionali e sui curricola degli operatori sociali va necessariamente collocata in tale contesto e può fornire indicazioni per  tenere insieme l’esigenza di fronteggiare una domanda sociale che si fa via via più complessa e che richiede risposte sempre più modulate e flessibili, senza ricorrere all’inefficiente ed inefficace sistema della proliferazione di figure professionali sempre “nuove”.

Simone Casadei, ricercatore Isfol, Area politiche sociali e pari opportunità

 

 

 

 

 

 

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