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l'opinione

Nella sanità pubblica l'unico sprecone è il medico

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di Luigi Berliri

Ma è veramente il medico di famiglia il solo spendaccione della filiera della Sanità pubblica? La domanda sorge spontanea di fronte alle lettere minatorie che la regione Lazio sta inviando ai sui camici bianchi per minacciarli di tagli alle parcelle in caso di sforamento del tetto delle prescrizioni. L’Assessore alla Sanità, Augusto Battaglia, giustifica l’invio delle missive duramente contestate dalla Fimmg, la federazione dei medici di famiglia: «Serve particolare attenzione alla spesa farmaceutica». Un metodo che, ricorda un medico che ha lavorato a lungo all’estero, «in vigore presso gli ospedali cinesi, dove il sanitario viene ripreso per avere sbagliato a prescrivere troppe medicine» Il sospetto, anzi la certezza è che si preferisca ancora una volta attaccare il singolo professionista invece di intervenire là dove si trova il vero bubbone della spesa sanitaria sprecona. Mio padre nel lontano 1970 era il magistrato di controllo della Corte dei conti del ministero della Sanità e a me, neo laureato in Giurisprudenza, soleva raccontare le spese pazze della Croce rossa che spendeva svariati miliardi di allora per le divise delle Crocerossine. Le cose in più di trentacinque anni non sono cambiate. Un esempio? Eccolo pronto. Appena insediatosi, l’assessore alla Sanità lanciò una campagna mediatica per la riduzione delle liste d’attesta. Senza pensare che il motivo dei ritardi in interventi e nelle analisi oltre al gran numero dei malati è anche dovuto alla impossibilità, ad esempio, di effettuare interventi dopo una data ora per la mancanza non tanto dei medici quanto di personale paramedico che non può fare straordinari perché spesso questi non vengono pagati. L’Assessore, dunque, pensò di risolvere il problema della mancanza dei posti nelle terapie intensive del Lazio istallando in ogni ospedale un computer collegato con un Ced sul quale i medici avrebbero dovuto riportare i dati dei pazienti delle aree critiche. Infischiandosene della privacy e aggiungendo un ulteriore compito per i sanitari.  Numerose riunioni, in regione e nella Asl, acquisto dei macchinari e dei programmi, moltissime spese, dunque, tutti sforzi che sarebbe stati ripagati, nelle intenzione del promotore, con un perfetto sistema che avrebbe permesso in tempo reale di trovare un posto letto in una rianimazione romana o del circondario superando l’attuale sistema di fax e di collegamenti con il 118. Passati due anni tutto è allo stato iniziale. Anzi ancora prima: i computer, nella maggior parte dei casi, sono ancora imballati e nessuno si è peritato di far svolgere un minimo corso di istruzione ai medici i quali sono, udite udite troppo impegnati a salvare vite invece di perdere tempo in adempimenti burocratici. La Regione però non demorde e nelle more della par5tenza del sistema telematico, mette su un call center telefonico. Assume svariati operatori che ogni giorno, più volte al giorno, chiamano pronti soccorso e reparti ospedalieri per raccogliere le informazioni. Direttamente dai medici che, se stanno intervenendo sui pazienti, debbono togliersi i guanti, prendere le cartelle e fornire i dati richiesti. E le liste di attesa non diminuiscono. Anzi si allungano!. Non bastava potenziare l’attuale sistema del 118 che oggi gestisce dopo anni di rodaggio, con efficienza e perizia, il reperimento dei posti liberi mediante fax?   E poi sono solo i medici di famiglia ad essere degli spreconi!!!         

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