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l'opinione

Redditi dei giovani avvocati sempre più giù

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di Ivana Enrica Pipponzi (Consiglio Direttivo Nazionale Aiga).

Una recente indagine dell’Ufficio Studi della Banca d’Italia ha evidenziato come negli ultimi anni i redditi dei lavoratori dipendenti siano rimasti sostanzialmente invariati, laddove i lavoratori autonomi (professionisti, artigiani, commercianti…) li hanno visti crescere del 13% circa. La ineluttabile perdita del potere di acquisto della moneta determina per i lavoratori dipendenti una marcata contrazione del tenore di vita o addirittura, in casi sempre più numerosi, una obiettiva difficoltà a soddisfare anche le primarie esigenze dei nuclei familiari. I titolari di partita IVA, invece, secondo la lettura formale della percentuale di incremento, sarebbero in condizione di contrastare il fenomeno del caro-vita. Un attento esame dei risultati delle singole categorie rivela, però, all’interno di questa grande, e spesso indistinta area, significative differenze e, in particolare, che i “beneficiari” della redistribuzione del reddito sono sostanzialmente le grandi aziende di servizi e le filiere commerciali; le periodiche statistiche della CCIAA di Mestre sono illuminanti sul punto. La realtà, in effetti, è assai variegata, con significative differenze a seconda dell’attività svolta e dell’età. Inutile dire che ad essere penalizzati sono i giovani e che, in tal senso, non fanno eccezione i giovani avvocati. Un dato eloquente è rappresentato dalle stime del recente “forfettone”, ovvero la possibilità per i contribuenti marginali di avere una semplificazione contabile consistente nella applicazione di una aliquota unica del 20%: gli avvocati interessati sono circa sessantamila, in massima parte giovani, il che la dice lunga sul loro fatturato medio. I numeri sono preoccupanti. Il dato complessivo, disaggregato per segmenti anagrafici, e sul punto basta consultare le periodiche tabelle pubblicate dalla Cassa Nazionale Forense, svela la esistenza di migliaia di professionisti che generano redditi negativi o comunque inferiori ai minimi previsti ai fini previdenziali. Ed il futuro non lascia presagire nulla di buono. Cominciano ad essere evidenti gli effetti delle liberalizzazioni volute dal Ministro Bersani ed inizia a definirsi la platea dei soggetti che da queste misure sono stati beneficiati. La committenza forte (banche, assicurazioni, enti territoriali…) ha immediatamente approfittato della abolizione dei minimi tariffari per determinare unilateralmente i compensi professionali ed i prestatori d’opera intellettuale - perdendo definitivamente la propria autonomia – si sono trasformati in un ceto dipendente economicamente dalla propria clientela.: e tanto più questo fenomeno appare grave in un mercato nel quale vi è chiaramente un eccesso di offerta rispetto alla domanda. Eppure la classe politica sembra ignorare questo disagio, perfino quando la entità dei redditi medi percepiti dai laureati a cinque anni dal titolo (tanto che costoro sono stati efficacemente definiti la generazione mille euro al mese) fa emergere il senso di precarietà e insicurezza di quanti, dopo anni di studi universitari, si ritrovano con un diploma che il mercato non premia. Così, nonostante i proclami, non è stata approvata una riforma delle professioni intellettuali che le ammodernasse e che prevedesse – allo stesso tempo – adeguate tutele a favore di chi sempre più spesso non è sufficientemente remunerato per l’opera prestata. Ed è ancora più odiosa la campagna di stampa orchestrata a sostegno delle liberalizzazioni, ritenute misure a favore dei giovani benchè – a conti fatti – non lo fossero, se solo si pensa al nodo irrisolto del tirocinio: nel nostro paese migliaia di giovani affrontano un periodo più o meno lungo di pratica, prima di potere sostenere l’esame di stato per l’abilitazione all’esercizio della professione, senza ricevere alcun compenso per l’opera svolta, della quale si avvale normalmente uno studio professionale. Sarebbe lecito attendersi, dunque, che tra gli argomenti della campagna elettorale vi fosse anche la difficoltà di un ceto – quello professionale – che, anche in considerazione dell’età media molto giovane, non si identifica più nello stereotipo di classe borghese agiata e, in larga misura, sta vivendo una fase accentuata di proletarizzazione.
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