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l'opinione

Casse di Previdenza: la finanziaria ha lasciato insoluti i nodi aperti

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Di Francesco Amoruso

(deputato di An - vicepresidente Commissione Lavoro della Camera)

La Finanziaria approvata dal Parlamento è stata un’occasione persa per il rafforzamento dell’autonomia e della sostenibilità finanziaria del sistema delle Casse professionali italiane. Nella legge di bilancio dell’anno scorso il governo aveva lanciato un segnale, per quanto contraddittorio come dimostrano le numerose critiche emerse sulla bozza decreto attuativo elaborata dal ministero del Lavoro, inserendo una norma che consente di allungare l’orizzonte temporale dei bilanci tecnici. La Finanziaria per il 2008, invece, non fa il minimo accenno al sistema della Casse. Un sistema che, come ho avuto spesso occasione di dire nel corso di dibattiti e convegni (l’ultima occasione è stata l’importante tavola rotonda organizzata dall’Adepp lo scorso 15 novembre sul tema dei patrimoni delle Casse), rappresenta un modello importante di gestione virtuosa per l’intera previdenza italiana. Ma che allo stesso tempo va tenuto sotto stretta attenzione perché le Casse privatizzate in seguito al decreto legislativo n. 509/1994 - secondo le attuali previsioni - devono tenere d’occhio già nel medio periodo l’andamento del rapporto entrate/uscite, mentre quelle istituite dal decreto legislativo n. 103/1996 scontano l’esiguità delle prestazioni che sono in grado di erogare dovuta al ricorso al sistema contributivo.

Proprio a questo ultimo fine in occasione della Finanziaria ho presentato prima in commissione Bilancio, poi nell’aula di Montecitorio, tre emendamenti qualificanti sulle Casse. Le mie proposte chiedevano misure di grande importanza e urgenza da tempo attese dal circa milione di iscritti al sistema della previdenza privata italiana:

  • Superare l’attuale tetto massimo del 2 per cento e consentire l’innalzamento al 4 per cento del contributivo integrativo in favore degli iscritti alle Casse istituite dal decreto legislativo n. 103/1996 da parte di chi si avvale delle loro prestazioni professionali. Tale aumento avrebbe rappresentato una prima misura per contrastare l’esiguità delle prestazioni previdenziali e implementare risorse per quelle assistenziali.
  • Razionalizzare la composizione dell’organo di indirizzo che guida le stesse Casse ex decreto n. 103/1996 al fine di assicurarne la funzionalità e far sì che esso assolva con agilità al suo fondamentale ruolo di collegamento tra l’ente previdenziali e gli iscritti.
  • Infine eliminare, in questo caso con riguardo anche alle Casse del decreto legislativo n. 509/1994, i pesanti limiti di spesa (del tutto incoerenti con la loro natura di soggetti di pieno diritto privato, peraltro ribadita da ben due sentenze della Corte costituzionale) conseguenti all’inclusione nell’elenco delle amministrazioni pubbliche dell’Istat.

Peccato che i miei emendamenti non abbiano avuto neanche la possibilità di essere esaminati. Una volta superato il vaglio di ammissibilità, infatti, essi non sono mai arrivati all’ordine del giorno della commissione Bilancio o dell’Aula della Camera. L’andamento schizofrenico dei lavori in commissione - dovuto alla continua massa di emendamenti presentati con cadenza giornaliera dallo stesso governo e dal relatore - non ha consentito alle mie proposte di essere esaminate. Quanto all’Aula, l’ennesima richiesta del voto di fiducia ha impedito qualsiasi dibattito consentendo al governo di blindare il testo uscito dalla commissione. Le esigenze politiche di una maggioranza che tenta di schivare per quanto possibile il confronto sul merito delle questioni anzitutto per evitare “incidenti di percorso” tra i suoi litigiosi componenti si sono indirettamente riflesse sulle Casse.

Sul piano della previdenza privata, insomma, i problemi dell’autonomia e della sostenibilità finanziaria rimangono in piedi. Le Casse non ricevono alcuna sovvenzione da parte dello Stato. In definitiva le risorse per le prestazioni erogate vengono solo dai contributi degli iscritti e dai rendimenti degli investimenti mobiliari e immobiliari. Ma questi ultimi subiscono un’imposizione fiscale che non ha pari nel resto dell’Unione europea. Proprio questo, insieme a quelli dell’autonomia gestionale e della sostenibilità finanziaria del sistema, è il grande tema d’attualità per la previdenza privata italiana. Ma il governo - come ha dimostrato anche nelle molte altre occasioni in cui, durante la legislatura in corso, ha ignorato o addirittura bocciato altri miei emendamenti e ordini del giorno sulla previdenza privata: il primo “decreto Bersani” sulle liberalizzazioni e la Finanziaria 2007 - sembra essersene dimenticato. Un atteggiamento, questo, che contrasta radicalmente con quanto avvenne nella scorsa legislatura quando la maggioranza di centrodestra, sia in sede di governo che in sede parlamentare, ottenne risultati importanti introducendo la totalizzazione dei periodi accumulati presso diverse gestioni, ponendo un tetto alle indennità di maternità necessario per assicurare gli equilibri finanziari delle Casse e introducendo sia la previdenza complementare che l’assistenza sanitaria integrativa.

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