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l'opinione

La programmazione degli accessi universitari per valorizzare il merito scolastico

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di Gianluca Carfagna Consigliere Nazionale Aiga

Il deficit di meritocrazia che affligge la società italiana può iscriversi a buon diritto nell’elenco delle emergenze che hanno contraddistinto tutto il 2007. Merito assente sia nel luogo di lavoro sia nelle aule scolastiche ed universitarie, tanto da “meritarsi” l’attenzione degli organi di stampa e di molti opinionisti. Alcune indagini recenti hanno attestato il lento ed inesorabile declino al quale sembra essere condannato il nostro paese, sempre più indietro rispetto agli standard delle altre nazioni europee in alcune aree del sapere quali matematica, scienza e problem solving. Questa è la conseguenza di un sistema di istruzione nel quale da tempo, in nome di una lassista interpretazione del diritto alla studio, concetti come merito e competizione sono stati messi al bando. I responsabili dei due dicasteri maggiormente interessati sembrano avere compreso la gravità dell’emergenza e le ricadute che questa ha nell’intera economia italiana e nelle sue future prospettive di rilancio. Il Decreto Legislativo approvato dall’ultimo Consiglio dei Ministri interpreta la necessità di introdurre (o reintrodurre) valori come impegno, profitto e merito nella carriera scolastica di ciascun studente e subordina l’accesso ai corsi di laurea a numero chiuso anche al voto di maturità, ai voti conseguiti negli scrutini finali degli ultimi tre anni ed ai voti conseguiti nelle discipline attinenti al corso di laurea scelto. D’ora in avanti, quindi, per superare i test d’ingresso non sarà più sufficiente rispondere in modo ineccepibile ai “quiz” ma peserà anche il “retroterra” culturale di ciascun candidato. A questa misura si accompagna la previsione che le scuole organizzino progetti di orientamento per gli studenti degli ultimi anni allo scopo, almeno nelle intenzioni, di contrastare un fenomeno altrettanto allarmante: le immatricolazioni nelle facoltà umanistiche ed economiche – giuridiche rappresentano ancora quasi il 60% delle iscrizioni (si veda, in tal senso, il monitoraggio effettuato dall’Ufficio di Statistica del Ministero dell’Università per l’anno accademico 2007/08) mentre le facoltà che offrirebbero maggiori sbocchi occupazionali, in particolare quelle scientifiche, non esercitano una convincente attrattiva per i neo diplomati. Ma i buoni propositi del governo rischiano di naufragare miseramente dinanzi ad un dato: sono programmati a livello nazionale soltanto gli accessi ai corsi di laurea in medicina e chirurgia, in medicina veterinaria, in odontoiatria e protesi dentaria, in architettura, in scienze della formazione primaria e per la formazione del personale sanitario – infermieristico. In altri termini, la meritocrazia e la funzione di orientamento, anche attraverso la valorizzazione dei voti scolastici conseguiti nelle materie attinenti al corso di laurea prescelto, troveranno riscontro solo tra quegli studenti che decidano di iscriversi ad un corso per il quale esiste il “numero chiuso”; in tutti gli altri indirizzi affluiranno i soggetti meno meritevoli. Ed è quest’ultima conseguenza che dovrebbe preoccupare per l’elevato costo sociale che essa comporta: mantenere inalterato il numero di immatricolazioni in determinati ambiti disciplinari che – considerati i numeri – non garantiscono più adeguati sbocchi occupazionali e, per di più, introdurre meccanismi che rischiano di implementare il numero di coloro i quali optano per questi ambiti disciplinari senza vere motivazioni o perché penalizzati da un rendimento scolastico mediocre, significa condannare un numero sempre più elevato di individui a vivere ai margini dei processi socio – economici, con ricadute facilmente intuibili. Al contrario, estendendo il criterio della programmazione nazionale degli accessi universitari a tutti gli indirizzi, si conseguirebbero risultati più convincenti perché: 1) si stimolerebbe tutta la popolazione studentesca ad un migliore rendimento scolastico in vista dell’accesso all’università; 2) si favorirebbe l’attività di orientamento, perché è plausibile che i diplomati scelgano le facoltà più coerenti con quelle materie nelle quali hanno conseguito i voti più alti.
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