Decreto Bersani. Il Governo pensa alla fiducia
di Elisa Pastore
Sono 1100 gli emendamenti presentati dai gruppi parlamentari in Commissione bilancio di Palazzo Madama al decreto legge Bersani sulla competitività. La cifra non comprende le proposte di modifica del governo, che devono ancora essere consegnate. Il relatore al decreto legge, Natale Ripamonti, ha presentato 9 emendamenti e un ordine del giorno. Il termine per la presentazione è scaduto questa mattina alla 10,30 e si sta procedendo alla loro quantificazione. Sul decreto, che sarà esaminato dalla commissione per tutta questa settimana e approderà in Aula lunedì 24 luglio, il governo sarebbe intenzionato a porre la questione di fiducia. L'esecutivo, a quanto si apprende, non presenterà un maxi emendamento su cui porla, ma piuttosto penserebbe di depositare in commissione un pacchetto di emendamenti di modifica al decreto. La fiducia, quindi, se sarà avanzata, dovrebbe essere posta sul testo del provvedimento che supererà il vaglio della commissione bilancio. Conferma in tal senso viene dal ministro per i Rapporti con il Parlamento e le Riforme, Vannino Chiti. Il ministro spiega che occorrerà vedere «il lavoro in questa settimana in commissione Bilancio, vedremo l'atteggiamento ed il comportamento dei senatori. In commissione ci sarà un confronto vero e poi valuteremo se ricorrere o no alla fiducia. Certo –sottolinea Chiti- la manovra non solo per il risanamento ma anche per l'avvio dei processi di liberalizzazione è per noi decisiva e se sarà necessaria la fiducia la porremo senza battere ciglio». Il vertice della Confindustria ha espresso un sostanziale apprezzamento per «i primi segnali di liberalizzazione mostrati dal decreto Bersani sulla competitività». Ad affermarlo è il numero uno di viale dell'Astronomia, Luca Cordero di Montezemolo. «Abbiamo apprezzato i primi segnali di liberalizzazione per quanto riguarda taxi e farmacie. Non si può avere che le licenze si tramandino da padre in figlio, mercati chiusi, veti delle corporazioni». A giudizio di Montezemolo, dopo questi prime mosse «adesso dobbiamo passare a vere liberalizzazioni come quella dell'energia, abbiamo bisogno di concorrenza nei trasporti, nell'università. Abbiamo bisogno di più concorrenza e di una riforma della pubblica amministrazione nel senso di un sempre minore impatto della burocrazia». Altrettanto fondamentale, secondo il n.1 di viale dell'Astronomia, un deciso ridimensionamento dei costi della politica: «Non è possibile - ha lamentato - che in Italia l'azienda n.1 come costi e numero di occupati sia la politica. Non possiamo più accettare - ha insistito – che sul territorio ci siano aziende che tolgono spazio ai privati, con servizi costosi e scarsi». Soprattutto perché, ha concluso il presidente di Confindustria, gli imprenditori italiani hanno «bisogno di un Paese che faccia una forte modernizzazione della macchina». Promuove il decreto Bersani, il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi. Anzi, da lui è arrivato l'invito «a proseguire nell'azione intrapresa e rimuovere sistematicamente in tutti i settori le restrizioni alla concorrenza». Draghi, davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato nel corso dell'audizione sul Dpef, ha quindi sottolineato che «una maggiore concorrenza è ritenuta essenziale per il rilancio produttivo perché aumenta l'efficienza del sistema e riduce i costi per i consumatori; abbattendo le rendite di posizione, contribuisce all'equità». Draghi ha precisato tuttavia che l'efficacia delle nuove norme contenute nel decreto legge approvato il 30 giugno scorso «dipenderà in molti casi dall'applicazione che ne sarà fatta in concreto dalle amministrazioni locali». Intanto i medici sono sul piede di guerra contro un emendamento al decreto Bersani sulle liberalizzazioni, che il ministro Livia Turco presenterà in Senato per prorogare di 3 anni la libera professione dei medici pubblici negli studi privati. «È inaccettabile – sottolinea le Cgil Medici - un rinvio senza indicare strumenti cogenti che obblighino i Direttori Generali a impegnarsi per l'effettivo rientro della libera professione nella sanità pubblica, a giovamento dei cittadini che per superare le liste di attesa non dovrebbero più essere costretti a rivolgersi al privato. Siamo infine profondamente delusi dalla mancanza nell'emendamento di ogni riferimento alla esclusività di rapporto, lasciando ancora invariata la possibilità del doppio lavoro, pubblico-privato, perfino ai primari e ai responsabili di struttura semplice».