I veterinari in campo contro Bersani
Di Luigi Berliri
La decisione di liberalizzare le professioni ha determinato la reazione anche di molti medici veterinari che vedono in questo decreto una risoluzione semplicistica di adeguamento a normative europee, senza tener conto della realtà professionale delle varie categorie. È questa l’accusa che i veterinari lanciano contro il Governo. "Quello che più ci ha colpito è stata la totale mancanza di concertazione con le parti coinvolte - afferma la torinese Raffaella Bestonso, presidente Aivpa (la storica Associazione italiana veterinari piccoli animali, fondata in Emilia, 45 anni fa) -.Il fatto che il governo debba uniformarsi alle norme dell' Unione europea è legittimo, ma non mi sembra possibile decidere di adeguarsi alle normative senza valutare il contesto in cui si opera. La realtà veterinaria italiana è ben lontana da quella di altri paesi europei come Francia o Gran Bretagna. Basti pensare al numero di facoltà di medicina vetereniaria: nelle nazioni indicate sono quattro o cinque, contro le quattordici presenti sul territorio italiano, senza contare il corso di laurea interfacoltà di Catanzaro". Comprendendo le finalità del governo, i veterinari ritengono che il metodo applicato abbia delle lacune e, nel lodevole intento di favorire la possibilità di aumento dell' offerta al cliente, possa determinare una minor garanzia di una prestazione professionale adeguata e sicura, nel rispetto delle esigenze della clientela stessa. "Non dimentichiamo che la nostra e' una professione sanitaria a tutela della salute degli animali che, soprattutto nel caso degli animali d'affezione, vivono in stretto contatto con l'uomo - sostiene Andrea Dorcaratto, presidente Unisvet (Unione italiana società veterinarie che riunisce dodici delegazioni regionali, i circoli veterinari milanese e siciliano) -. La nostra professione ha come finalità il controllo e il mantenimento della salute animale, ma anche, e soprattutto, la vigilanza su eventuali patologie trasmissibili all'uomo e quindi non può essere equiparata ad una semplice attività commerciale. Non è corretto che il ministro Bersani si rivolga a noi valutando solo il lato commerciale della nostra professione per rimandarci alla sua collega della sanità quando chiediamo di essere considerati soggetti sanitari"