Per i medici torna l’esclusiva.
Dirigenti medici del Servizio sanitario nazionale, si cambia. Per la terza volta in otto anni.
Di Luigi Berliri
L'annuncio di ieri dei ministri della salute e dell'Università e ricerca, Livia Turco e Fabio Mussi, sul ripristino dell'esclusività di rapporto, segna infatti nuove regole per la categoria. Alle quali si aggiunge la decisione di mettere mano anche al policlinici universitari a gestione diretta, quelli dove sono stati riscontrati da sempre i maggiori disagi e problemi, che diventeranno aziende sanitarie integrate. La decisione è arrivata al termine dell'incontro tra i due ministri per fare il punto sulla situazione generale dei policlinici universitari e affrontare il nodo del rapporto tra Ssn e sistema universitario, dopo l'inchiesta relativa al Policlinico Umberto I di Roma. I dati arrivati al ministero dopo i blitz dei Nas indicano quanto anche una indagine del Senato aveva già evidenziato: sono le strutture del Sud quelle con maggiori difficoltà. La prima decisione scaturita dal vertice a due, appunto, è quella di ripristinare l'esclusività di rapporto, legata alla durata dell'incarico e quindi reversibile, per i dirigenti di struttura complessa del SSN (ex primari e attuali capi dipartimento), mantenendo comunque per queste figure la possibilità di svolgere attività libero professionale, ma solo in regime di intramoenia. Un provvedimento, ha precisato Turco, che sarà compreso nel disegno di legge sul governo clinico e per l'ammodernamento del sistema sanitario e non sarà oggetto di decreto legge. Per i dirigenti medici e per il personale docente universitario con incarichi assistenziali apicali, dunque, si cambia ancora: nel 1999, con la legge Bindi, era stata infatti introdotta l'esclusività di rapporto (ovvero l'esercizio della libera attività professionale in intramoenia, cioè all'interno della struttura ospedaliera in cui si lavora) obbligatoria e irreversibile. La situazione resta invariata fino al 2004 quando, con la cosiddetta legge Sirchia, le regole cambiano: l'esclusività non è più requisito obbligatorio per l'accesso ai posti della dirigenza medica. Dunque, ad oggi, si poteva diventare primari o capo dipartimento, continuando a esercitare la libera professione anche in privato. La decisione odierna segna un nuovo cambiamento: si ritorna all'esclusività di rapporto obbligatoria per i dirigenti medici, ma con una differenza rispetto al passato, dal momento che tale esclusività è reversibile e relativa alla durata dell'incarico. Un'iniziativa accolta con favore da vari esponenti del mondo medico, a partire dal direttore generale del Policlinico universitario Tor Vergata di Roma, Enrico Bollero: ''Il ripristino dell'esclusività va a vantaggio dei cittadini che, in questo modo - ha detto - potranno contare su tariffe più trasparenti. Inoltre, ci sarà un maggiore controllo sull'attività dei dirigenti sanitari". Giudizio positivo anche da parte del Sindacato Radiologi (Snr), degli Internisti ospedalieri (Fadoi) e della Società di ortopedia (Siot). Scettico Salvo Calì, segretario nazionale del Sindacato dei Medici Italiani. «Molto rumore per nulla – ha detto - secondo i nostri dati, sono solo una piccola minoranza i medici con incarichi di vertice che, a seguito della Legge Sirchia, hanno optato per la libera professione. Per questo abbiamo difficoltà a considerare questo provvedimento come una rivoluzione per la nostra sanità pubblica. È giusto, invece - ha spiegato il segretario dello Smi - ancorare la reversibilità di scelta alla durata del contratto. Non ha senso che un medico con incarichi di responsabilità e programmazione possa cambiare ogni anno la sua collocazione. In questo modo si creano grossi problemi dal punto di vista organizzativo e per la pianificazione delle attività delle aziende ospedaliere. La vera questione – ha concluso Calì – però è la rivalutazione dell’indennità di esclusiva, ferma ancora al 2000, per tutti i medici dirigenti del Servizio Sanitario Nazionale. Se non si valorizza adeguatamente questo grande patrimonio di professionalità, si rischia l’impoverimento della nostra sanità pubblica».