Gli avvocati chiedono di rivedere le norme su pubblicità e tariffe
di Luigi Berliri
Gli avvocati e più in generale i professionisti italiani giudicano con aperta ostilità le norme legate alla pubblicità e all'abolizione delle tariffe obbligatorie o minime, peraltro tecnicamente in vigore dal primo gennaio. A seguito dell'approvazione della legge Bersani, a partire dal primo gennaio sono stati apportati cambiamenti sostanziali nelle tariffe degli studi e nella pubblicità. Il Dl Bersani ha infatti sancito l'abrogazione della norme che fissano tariffe obbligatorie o minime, vale a dire il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Per la pubblicità il nuovo regime prevede invece l'abolizione delle disposizioni che prevedono per i professionisti il divieto di pubblicizzare i titoli e le specializzazioni, le caratteristiche e il prezzo delle prestazioni. E ora, ricordano gli addetti ai lavori, si aprirà la fase complessa della revisione dei singoli codici di autodisciplina degli ordini. “Per quanto ci riguarda – spiega a MP, Michelina Grillo, presidente dell'Oua, l'Organismo unitario dell'avvocatura - rimangono immutate le nostre critiche su quanto previsto dal Dl Bersani, che ha abolito i divieti fissati dai codici deontologici. Quindi - aggiunge - chiediamo ancora una volta che vengano modificate queste norme per fissare al contrario adeguati paletti a tutela del cittadino”. E in Parlamento, rileva, ''continueremo a spiegare che anziché puntare sul capitolo costi sarebbe meglio concentrarsi su qualità e formazione, e questo perché è preferibile che i consumatori continuino ad avere a che fare con professionisti preparati piuttosto che a basso prezzo”. Il pacchetto di rimostranze, rammenta Michelina Grillo, verrà reso noto già a partire da metà gennaio, quando le commissioni Giustizia e Attività Produttive della Camera riunite avvieranno le audizioni in tema di riforma delle professioni. Istanze che il 31 gennaio, ricorda, verranno ribadite a Bruxelles nell'ambito di un simposio con gli avvocati europei nel quale “cercheremo di far capire, soprattutto nel nostro Paese, quali sono le normative approvate in ambito Ue, senza dimenticare di sottolineare l'incostituzionalità del decreto Bersani. Da ultimo – conclude - vorrei ricordare due cose: la prima è che Bersani ha nei fatti ignorato la nostra realtà, diversamente da quanto fatto dal ministro della Giustizia Mastella; e poi che un avvocato privo di scrupoli con le nuove norme non avrebbe nessuna difficoltà ad arricchirsi. Naturalmente sulle spalle dell'incauto consumatore”. Sfumature diverse ma con uguale sostanza quelle utilizzate da Maurizio De Tilla, presidente della Federazione degli ordini degli avvocati europei (Fbe) e dell'Associazione degli enti previdenziali privati (Adepp). “Intanto ribadisco che l'Ue ha definito legittimi i minimi fissati per le tariffe italiane, e ciò - sottolinea - prevale sul Dl Bersani. Per quanto riguarda poi la pubblicità – aggiunge -il provvedimento dovrà essere fatto proprio dal Consiglio nazionale forense che avrà la possibilità di mettere nuovi paletti. Poi – osserva - si parla tanto di rispetto dei consumatori ma si dimentica che questi potranno essere danneggiati da un drastico abbassamento della qualità delle prestazioni, visto che si vuole portare i nostri avvocati ad essere considerati alla stessa stregua di lavoratori subordinati, e da una concorrenza selvaggia, visto che gli albi sono superaffollati”. Giudizio articolato, infine, quello di Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni, organismo di rappresentanza sindacale di 16 organizzazioni associative di 4 macro comparti, tra cui quello giuridico. “Noi diciamo no alla pubblicità comparativa – spiega - e sì invece a quella informativa, anche perché non mi sembra negativo specificare quali sono le proprie competenze specifiche”. Per quanto riguarda le tariffe, Stella giudica “falsa l'ipotesi che il consumatore possa sentirsi d'ora in poi più tutelato, anche perché si rischia di dequalificare la prestazione professionale, avvantaggiando coloro che hanno più risorse. In termini complessivi - afferma, - bisogna dare più opportunità per lavorare e competere meglio. E rispondere così ai consumatori in termini di qualità, senza però stravolgere l'impostazione italiana che altri Paesi del mondo ci invidiano”.